Processi di pace e risoluzione dei conflitti’

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Conferenza internazionale

Processi di pace e risoluzione dei conflitti’

Venezia, sabato 14 novembre 2009

Un incontro importante che vedrà riuniti attorno a un tavolo i rappresentanti dei principali conflitti ancora in corso e esponenti di quei conflitti che sono riusciti a intraprendere, pur tra mille difficoltà, la via del dialogo, unica possibile nella costruzione di una pace giusta e duratura. Insieme a Raymond McCartney del Sinn Fein irlandese, ci sarà Brian Currin, avvocato sudafricano molto conosciuto per il suo ruolo sia in Sud Africa (nominato da Mandela a coordinare la commissione per la pace e la riconciliazione) che all’estero. Currin infatti ha svolto il ruolo di mediatore sia nel conflitto anglo-irlandese che in Sri Lanka e Rwanda. In queste settimane si è parlato molto anche di un suo possibile coinvolgimento nel conflitto basco-spagnolo. A Venezia dunque Currin ripercorrerà la sua esperienza di mediatore ma darà anche un suo contributo rispetto ai conflitti di cui si discuterà nel pomeriggio di sabato, quello kurdo-turco e quello basco-spagnolo. In Turchia e in Spagna infatti la pace stenta a farsi strada. Pur con molte differenze un punto unisce le testimonianze basche e kurde presenti alla conferenza. Entrambi hanno proposto iniziative concrete di dialogo. Entrambi hanno trovato di fronte a queste proposte un muro di silenzio e repressione.
I kurdi, dopo un lungo cessate il fuoco, si trovano nuovamente a un punto morto. Infatti la storica discussione al parlamento turco della cosiddetta iniziativa kurda, il pacchetto di proposte del governo Erdogan per risolvere la questione kurda, si è finora rivelata priva di contenuti.
La sinistra indipendentista basca arriva a Venezia con un documento che esplicitamente indica il dialogo e il negoziato come unica via verso la pace. La risposta, per ora, del governo spagnolo è stata la criminalizzazione.

“Come facilitatore nei processi di pace – dice Brian Currin – plaudo a questa iniziativa del Centro Pace della città di Venezia. Cosi spesso i processi di pace s’impantanano per diverse ragioni: è venuta meno la fiducia, le parti coinvolte sono stanche, o non hanno più idee, oppure uno squilibrio nei poteri ha provocato un blocco totale, per citare alcuni dei problemi che si possono verificare. Per i paesi coinvolti avere l’opportunità di riesaminare la loro situazione in uno spazio neutrale con degli imput internazionali, rafforza e spesso agisce da catalizzatore nel rimette in piedi processi di pace bloccati”, conclude Brian Currin.

“Quando è stato messo in discussione, lo status quo coloniale imposto dai vincitori della prima guerra mondiale è risultato nel fascismo in Europa e nel militarismo in Asia, per culminare nella seconda guerra mondiale che ha fatto più di 60 milioni di morti”, commenta Haluk Gerger, scrittore ed ex docente universitario turco, tra i relatori a Venezia. “Nella parte del mondo dove vivo, – prosegue – lo status quo che risale alla prima guerra mondiale sta andando in pezzi, sfidato dai palestinesi, i kurdi, gli sciiti e molti altri. Noi non vogliamo emulare l’esperienza mondiale fin qui e lasciare che il mondo paghi il prezzo orribile delle guerre moderne. Per questo chiediamo cambiamenti pacifici. Tutta l’umanità ha bisogno di pace nel medioriente. Ogni tentativo, sforzo e luogo per il cambiamento pacifico, come quello organizzato a Venezia, rende un grande servizio ai popoli di questa parte del mondo, anzi dei popoli nel loro complesso”.

Nel suo messaggio video, il presidente del Sinn Fein, Gerry Adams, sottolinea l’importanza del dialogo e dell’ascolto dell’altro. “Cosa richiede la pace? – dice Adams – la pace richiede giustizia e dialogo. Deve essere riconosciuto il diritto delle varie parti coinvolte nel conflitto a scegliere i propri rappresentanti”. Adams continua dicendo che “è senz’altro necessario costruire relazioni che funzionino tra tutte le parti coinvolte, ma soprattutto un chiaro impegno personale che la pace può essere costruita, che la pace dovrebbe essere il diritto di nascita di ogni cittadino, ed è necessario riconoscere che ci sono interessi consolidati, che il cambiamento debilita, minaccia alcune persone e talvolta la percezione della minaccia rappresentata dal cambiamento può essere molto difficile da gestire”.

Nel video della sinistra indipendentista basca, Arnaldo Otegi ribadisce che “come alcuni anni fa fece quell’uomo alle Nazioni Unite la sinistra abertzale si presenta dinnanzi allo stato, di fronte al suo popolo e di fronte alla comunità internazionale con un ramo d’ulivo nella mano. Che nessuno lasci cadere questo ramo d’ulivo”.

Murat Karayilan presidente del PKK, in  un videomessaggio, dalle montagne del Kurdistan afferma che “quello che chiediamo in Kurdistan sono diritti naturali, basici. Come nazione chiediamo il riconoscimento dei nostri diritti anche più elementari nel contesto delle libertà, dell’espressione della nostra identità, dei diritti culturali e all’interno di un’autonomia democratica. Vogliamo che la questione kurda venga risolta con il dialogo, sulla base della fratellanza e convivenza civile dei popoli.”


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SORTU IRROMPE NELLO SCENARIO POLITICO BASCO

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Oscurato dall’ondata (improvvisa?) di rivolte popolari nel Magreb e mondo arabo il processo politico basco continua sulla difficile strada della democrazia, una democrazia politica ancora da costruire. Sortu, la nuova formazione politica nata dal dibattito interno alla sinistra indipendentista basca è una dimostrazione di forza. La forza di accettare un terreno, quello imposto dalla legge spagnola sui partiti del 2002, che con l’avvallo del Tribunale Per i Diritti Umani di Strasburgo conferma come le politiche securitarie che dominano l’azione degli Stati nel mondo, abbiano condizionato la giurisprudenza spostando l’ago della bilancia verso un arretramento nelle conquiste dei diritti civili che faticosamente erano state raggiunte dopo decenni di battaglie in Europa. Sortu è di fatto la dimostrazione che sul terreno politico la sinistra indipendentista è pronta a lanciare la sfida democratica del confronto tra diverse, e in alcuni aspetti antagoniste, opzioni politiche. Lo fa assumendo il “rifiuto di qualsiasi forma di violenza a sostegno di un progetto politico, inclusa quella di ETA”. Una dichiarazione contenuta nei suoi statuti che è unica nel suo genere. Nessuna forza politica si è assunta questa responsabilità di dichiarare formalmente questa considerazione della violenza politica. Cosa impossibile del resto. PSOE e PP con il loro bagaglio di “violenza per imporre le proprie opzioni politiche”  passate e presenti GAL e franchismo, Iraq, Afganistan tanto per citarne alcune non possono permettersi di sostenere quanto la sinistra indipendentista basca ha fatto.

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