FILO ROSSO

FILO ROSSO

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Alcuni anni fa un politico basco, Kepa Aulestia, che fu militante di ETA, come del resto molti politici baschi di ogni colore, propose di “ fare politica come se ETA no esistesse”. Era come proporre di fare il pane ignorando la farina. In questi inizi di XXI secolo ci hanno pensato i politici e magistrati spagnoli a cercare di mettere in pratica questo auspicio. La nozione giuridico politica che “tutto è ETA” ha allargato a confini quasi infiniti l’oggetto da criminalizzare. Da case editrici a associazioni infantili, da movimenti sindacali a clown, da chef a surfisti, in modi diversi hanno verificato seppur non sempre con gravi conseguenze, come l’ideologia della “contaminazione politica” sia una sorta di epidemia endemica, a cui ben pochi in Euskal Herria sono immuni.

Nonostante tutto questo impianto giuridico politico di sicurezza nazionale, la questione politica rimane aperta. Un equivoco di fondo è non volere considerare che esiste un problema politico e che non si riduce alle evidenze drammatiche della violenza politica. Un amnesia che ha relazione diretta con la cultura di “punto final”, una sorta di negazionismo storico che ha attraversato la società spagnola con la morte fisica del dittatore Francisco Franco. Euskal Herria è la testimonianza che quel trauma politico culturale di quart’anni di dittatura, che ha eliminato fisicamente una intera generazione politica, non si è potuto risolvere con un patto di omertà. Non sono stati sufficienti patti con la corona, statuti di autonomia blindati e competenze cedute con il contagocce . Nemmeno accordi politici per la “normalizzazione politica” o contro il terrorismo”. E nemmeno con la esclusione politico istituzionale di un settore sociale importante come la sinistra indipendentista. Il problema rimane irrisolto e in questi ultimi mesi si stanno evidenziando una serie di fatti che nonostante le apparenze, potrebbero indicare che qualcosa si sta muovendo. Si stanno giocando molte carte e a tutto campo in una gara che è anche contro il tempo. Non è più l’attività di ETA il problema prioritario, nonostante gli annunci allarmistici di possibili attentati, sequestri, miranti a mantenere virtualmente alta la tensione sociale. E’ la presenza della sinistra indipendentista ha muovere le pedine nello scacchiere politico. Nel Paese Basco ma anche in Spagna, tutti sono coscienti che qualsiasi soluzione del conflitto presuppone una fotografia reale delle forze in campo. E la sinistra indipendentista occupa un ruolo importante. Per questo le prese di posizione le azioni sono indirizzate a consolidare posizioni in vista di un confronto politico definitivo. L’alleanza del PSOE con la destra spagnola, PP nella Comunidad Autonoma Vasca (CAV) e Union del Pueblo Navarro (UPN) in Navarra, unica ed irripetibile nel resto dello stato, è la testimonianza più evidente. Il PP nella CAV, attraverso il suo presidente Basagoiti, mira all’esclusione della sinistra basca dalle elezioni municipali del 2011 confidando nella comunanza di vedute del Governo spagnolo di Zapatero e del Ministro degli Interni Rubalcaba, il quale non perde occasione per mostrare i muscoli, come quando afferma che il sistema penale spagnolo “è il più duro di tutta Europa”. Ma nelle file socialiste nel Paese basco, qualche dubbio affiora. Alcune voci si erano già alzate come quelle del sindaco di San Sebastian, Odon Elorza, che aveva manifestato un certo dissenso per gli arresti dell’ottobre scorso degli esponenti della sinistra indipendentista tra i quali Arnaldo Otegi e Rafa Diez,. Più organico il distinguo di Jesus Eguiguren, che fu protagonista del dialogo tra Batasuna, PSOE e PNV conclusosi malamente nel 2007. Eguiguren, in una intervista sul quotidiano Publico, considera “sincero il dibattito nella sinistra indipendentista” per quello che definisce “l’abbandono della violenza”. L’esponente socialista, allo stesso tempo però, non vede contraddizione negli arresti di esponenti della sinistra indipendentista che promuovono questo dibattito poiché “queste sono cose naturali. In qualsiasi caso per chi vuole andare avanti per quella strada questi (arresti) non sono ostacoli ma tracce”

Se le previsioni di Eguiguren su una possibile apertura di uno scenario di dialogo nel 2011 sono nelle intenzioni del suo partito, ci sarà molto da lavorare. Lo testimoniano l’ennesimo processo in corso contro Arnaldo Otegi per apologia di terrorismo, accusato di aver preso parte ad un atto di solidarietà con il prigioniero politico basco José Maria Sagurdi, da 30 anni in prigione. A parte le tristi manifestazioni della giudice di sala Angela Murillo, già protagonista nel processo 18/98, il pubblico ministero sostiene la tesi accusatoria basandosi di “apologia di terrorismo” sul silenzio di Otegi alla domanda se condanna la violenza. A nulla sono valse le dichiarazioni di Otegi sulla scelta delle “vie esclusivamente politiche e democratiche” della sinistra indipendentista.


Queste prove di forza, che ovviano in molti casi agli elementari principi d uno stato di diritto, si scontrano con una realtà sociale radicata.


E’ il caso delle misure adottate dal Governo autonomo basco, con tanto di sanzioni per apologia di terrorismo, affinché non appaiano simboli rivendicativi durante manifestazioni pubbliche. Il ministro degli interni basco, Ares, in occasione della “Tamborrada” la festa di San Sebastian che si svolge in gennaio, ha sostenuto che “quest’anno la tamborrada per la prima vola non ha avuto manifestazioni di “elementi radicali”. La ma la realtà è stata, come riconosce il quotidiano El Pais che “vari cartelli a favore dei prigionieri di ETA e con rivendicazioni della sinistra indipendentista hanno fatto la loro comparsa nella Plaza Nueva di San Sebastian”. Non dovrebbe essere una sorpresa, vista la manifestazione di 40 mila persone, il 2 gennaio a Bilbao, chiedendo il rispetto dei diritti dei prigionieri. Un tema che va oltre l’area sociale della sinistra indipendentista. L’episodio del municipio di Ortuella potrebbe diventare simbolico. Qui, la corporazione municipale guidata da PNV ed EA ha approvato una mozione che chiede la revisione di una ulteriore condanna a dieci anni a Patxi Gomez attualmente in libertà dopo aver scontato 20 di prigione. La mozione è stata appoggiata anche dal consigliere comunale del PSOE Daniel Arranz che fu governatore della Vizcaya, nel biennio 94-96, il quale confida che la mozione del municipio di Ortuella “serva come esempio per la ricerca della pace”.


Questi episodi non alterano per ora i parametri dentro quali si muovono le forze politiche


Il patto tra PSOE e PP nelle CAV è oggetto di continue verifiche anche perché rappresenta una scommessa sulla quale si giocano il loro futuro elettorale nella CAV. Lo scarso consenso che registra questo accordo nella società basca, reso possibile dalla legge sui partiti ma non dai voti, spinge a serrare le file con gli occhi posti alle elezioni municipali del 2011. Gli incontri tra gli esponenti socialisti e popolari nella CAV di questi giorni tendono a limare logiche divergenze politiche per preservare questa luna di miele forzata. Il Governo di Patxi Lopez, rivendica un cambio radicale nella politica del governo autonomo che si è centrata sulla lotta la sinistra indipendentista e a disattivare l’anomalia politica di questa comunità autonoma rispetto alle altre dello stato spagnolo, imponendo l’autorità spagnola. Il riferimento continuo al Governo centrale non è allettante per l’opinione pubblica basca. Non solo per questioni politiche. La crisi economica che ha colpito duramente la Spagna porta questo paese ad essere quello con il più alto tasso disoccupazione di tutta Europa. Le politiche sociali del Governo Zapatero non si discostano dal quelle del resto dei paesi europei, privilegiando le garanzie del sistema finanziario piuttosto che politiche sociali strutturali, come testimonia la riforma delle pensioni che prevede l’innalzamento a 67 dell’età pensionabile. Nella CAV questa filosofia si traduce, in un mantenimento della politiche di sperequazione fiscale che favorisce le imprese, l’ipotesi di privatizzazione dei servizi pubblici, emarginando dagli organi consultivi la maggioranza sindacale basca dei sindacati ELA e LAB. Adolfo Munoz “Txiki”, segretario del principale sindacato basco ELA ricorda che “lo stato spagnolo non ha più nulla da privatizzare (o lo regalarono agli amici del governo sia del PP come del PSOE). Cosi senza risorse in questo campo e con il rifiuto di cambiare la politica fiscale, l’azione di governo si centra sulla regolazione dei nostri salari, diritti del lavoro e sociali come sempre(..) La classe politica ha gestito, in do trasversale, anni di crescita, di deregulation e privatizzazione rendendo possibile una disuguaglianza crescente nella distribuzione della ricchezza,. Questa classe politica non ha intenzione di cambiare: continua ad agire per incarico del potere economico che è quello che veramente comanda. Vogliono essere lasciati liberi di agire. In occasione dello sciopero generale del 21 maggio scorso affermammo che l’alternanza dei partiti non comportava un cambio nella politica. Il tempo, una volta di più, ci da ragione”.


In questo contesto, il PNV cerca di trovare un suo ruolo dopo la batosta della defenestrazione dalla guida del Governo autonomo basco che era durata 30 anni. Se da un lato non vengono risparmiate critiche contro il Governo di Patxi Lopez dall’altra si cerca di trovare un accordo politico o per lo meno un’intesa sui temi economici sui quali le convergenze sono possibili. L’incontro tra il presidente del PNV, Urkullu e Patxi Lopez, ha avuto letture diverse anche se per il PNV è di vitale importanza assumere un ruolo politico preciso in questa fase, schiacciato com’è tra una ipotesi di costruzione di un polo progressista basco e il polo autonomista spagnolo PP-PSOE. Per questo non ha provocato grandi sobbalzi, l’annuncio da parte di Patxi Lopez della costituzione di gruppo di consulenti economici, una sorta di “gruppo dei saggi”, tra i cui nomi figurano personaggi di spicco dell’orbita del PNV, come l’ex presidente del PNV durante il biennio delle conversazioni PSOE, PNV, Batasuna, Imaz, attualmente presidente di Petronor, l’associata della multinazionale spagnola petrolifera Repsol; l’ex presidente del Governo autonomo (1986-1998) José Ardanza e Jose Maria Aldecoa presidente del gruppo cooperativo Mondragon, il più grande dello stato spagnolo, 230 cooperative e 93000 lavoratori. Le voci dissidenti interne al PNV non trovano tanto spazio. Le dichiarazioni dell’ultimo presidente del Governo basco a guida PNV, Jose Maria Ibarrtexe, che tanti consensi gode ancora nel partito, nelle quali si chiede una mobilitazione sociale per reclamare il diritto a decidere che per Ibarretxe è contemplato nella proposta di riforma dello statuto di autonomia approvata dal parlamento della CAV ma poi bocciata nelle Cortes spagnole nel 2005, sono messe in sordina. I potentati economici spingono affinché si trovi un accordo con il nuovo governo a guida socialista, accantonando le polemiche politiche. Come ricorda un editoriale quotidiano conservatore, El Correo Espanol, la direzione del PNV non vede di buon occhio la riapparizione di Ibarretxe per il rischio che “metta con le spalle al muro il partito che dirige Urkullu, la cui leadership è messa in discussione un’ anno dopo le elezioni basche. Un partito che cerca di mantenere un equilibrio tra la politica di logoramento del nuovo Governo di Patxi Lopez ed un discorso di opposizione responsabile. Un partito al quale, fondamentalmente in Vizcaya, risulterebbe significativamente scomodo il recupero del discorso radicale di Ibarretxe, perché il suo elettorato più leale non vuole soprassalti”


L’ambivalenza del PNV che negli anni passati gli ha permesso di garantire la guida della CAV, sta avendo dei costi politici alti come testimonia il trend degli ultimi appuntamenti elettorali. Proprio sulla legge sui partiti che paradossalmente ha provocato la sua confitta politica nelle elezioni autonome, il PNV si è manifestato contrario pubblicamente ma poi, alla prova dei fatti, si è avvalso dell’esclusione della sinistra indipendentista dai municipi come nel caso di Ondarroa, dove la lista più votata, nelle ultime elezioni amministrative, era quella della sinistra indipendentista. Le proposte dei consiglieri eletti nelle liste del PNV,nella località costiera vizcaina, di permettere ai rappresentati della sinistra basca di governare comunque il municipio, vennero respinte ed il gruppo consigliare del PNV commissariato dalla direzione centrale del partito.


Questa definizione delle posizioni politiche si manifesta anche nella Navarra l’altra comunità autonoma di Euskal Herria nello stato spagnolo. Il patto di governo tra il partito regionalista Union del Pueblo Navarro con il PSOE, che ha provocato una rottura dell’accordo politico tra UPN e Partido Popular, è uno dei due temi centrali di Nafarroa Bai, la coalizione basca formata da PNV, EA, Batzarre e Aralar, che nelle ultime elezioni regionali era diventata la seconda forza politica della Navarra. In quella occasione l’ipotesi di governo con il PSOE venne frustrata dalle direttive del comitato centrale del PSOE. Il patto di stato che sulla Navarra portò il PSOE nel 1980, a dividere il partito socialista basco in due federazioni, quella della CAV e quella della Navarra, ha fatto sentire il suo peso su il possibile cambio politico dopo 30 di egemonia UPN. Per Nafarroa Bai che aveva escluso un accordo con la sinistra indipendentista, i margini di manovra sono stretti dopo il rifiuto, da parte del PSOE navarro, di ridiscutere una possibile alleanza politica. Allo stesso tempo la costituzione di un polo per la sovranità, promossa dalla sinistra indipendentista, sta diventando motivo di polemica tra le forze politiche della coalizione. Il risultato delle ultime elezioni europee dove la lista Iniciativa Internazionalista appoggiata dalla sinistra indipendentista ottenne 24 mila voti in Navarra superando di gran lunga Nafarroa Bai, è stato un segnale che pone interrogativi sulla strategia della colazioni basca. Se EA sostiene la necessita di autonomia nelle decisioni, appoggiando il polo per la sovranità nella CAV e Naffaroa Bai in Navarra, Aralar chiede chiarimenti mostrandosi reticente, almeno per ora, ad un accordo con la sinistra indipendentista. Chiarimenti necessari dopo che la delegazione di Nafarroa Bai al parlamento spagnolo, la coalazione ha un deputato, aveva accettato un incontro con il Ministro degli Interni Rubalcaba, il quale ha spiegato le misure adottate nei confronti della sinistra indipendentista. Per tracciare una linea politica ma anche per trovare consenso nella base sociale della sinistra indipendentista da cui Aralar proviene, in vista del dibattito congressuale di Nafarroa Bai, Aralar ha proposto che la coalizione non approvi nessun documento di condanna di ETA se questo contiene un appoggio alle Forze di sicurezza spagnole. Le altre due forze della colazione PNV e Batzarre seppur con motivazioni diverse spingono affinché Nafarroa Bai mantenga le distanze dalla sinistra indipendentista.


Questa situazione potrebbe modificarsi sostanzialmente, quando la sinistra indipendentista concluderà il suo dibattito politico interno. Il quotidiano basco Gara, in articolo del 30 gennaio, ha anticipato alcuni dei punti emersi dal dibattito a cui hanno partecipato più di settemila militanti. Avrebbero ottenuto una adesione pressoché totale i principi contenuti nella Dichiarazione di Alsasua nella quale si faceva esplicito riferimento alla “utilizzo di vie e metodi esclusivamente politici e democratici” per il riconoscimento di Euskal Herria. Si sottolinea come sia necessario per raggiungere l’obiettivo “una accumulazione di forze per il cambio”. Un cambio che “si basi sul riconoscimento nazionale di Euskal Herria e del diritto al’autodeterminazione”. Un cambio considerato possibile visto la coincidenza di analisi con altri soggetti politici e perché “la società basca appoggia la soluzione del conflitto sulla base di principi democratici”. La sinistra indipendentista constata che la costruzione nazionale necessaria, risulterebbe zoppa senza “un cambio sociale”. Quindi non è solo necessario fare fronte agli Stati ma anche “alla ingiustizia che impone il modello neoliberale” su questo terreno la sinistra indipendentista considera che il lavoro del sindacalismo è fondamentale.


Tesi quelle della sinistra indipendentista che avevano ricevuto, attraverso un comunicato, il sostegno di ETA visualizzando un cambio epocale nella strategia fin qui seguita dalla organizzazione armata. Il fatto che le forze politiche ed il Governo spagnolo abbiano relativizzato la portata del comunicato di ETA rientra nel gioco delle parti che i vari soggetti di questo conflitto politico stanno svolgendo. Significherebbe smontare l’impianto coercitivo che attraversa gran parte della società basca e che diventa una delle priorità per un cambio reale della situazione. In questi termini si sono espressi anche i rappresentati della nuova piattaforma Adierazi EH che, sabato scorso, dinnanzi a 2000 persone nel Palazzo Euskalduna di Bilbao hanno chiesto di “restituire il rispetto e la garanzia dei diritti civili e politici, ristabilire la democrazia”.

Senza dubbio “l’anomalia politica basca” si trova dinnanzi ad un momento politico cruciale. E proprio sul terreno politico la sinistra indipendentista potrà mettere in campo tutte le sue potenzialità per troppi anni limitate da un cultura di resistenza. Un clima di rinnovata fiducia che traspare anche nelle dichiarazioni pubbliche. L’editore Mikel Soto su Gara scrive che la sinistra indipendentista è una forza “orgogliosa che non esista un solo abitante di Eusakl Herria che non abbia visto i suoi diritti del lavoro, sociali, ambientali, di genere, linguistici o di qualsiasi altro tipo appoggiati e difesi dai suoi militanti, rappresentati istituzionali o organizzazioni. E’ la bestia nera dello Stato perché è inammissibile ed ha la ferma intenzione di vincere.” Considera che questi principi sono in sintonia con quelli della maggioranza sociale basca che necessita di nuovi strumenti di azione, “perché per vocazione e volontà questa maggioranza sociale supera a sinistra la vecchia dicotomia di quadri e masse. Sono le stesse masse quelle che decidono che non c’è bisogno di strutture ipertrofiche ne un movimento politico di quadri e meno ancora di quadri quadricolati”.






 


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I fratelli minori – il nuovo libro di Enrico Palandri

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E’ uscito in questi giorni per Bompiani “I fratelli minori”, il nuovo romanzo di Enrico Palandri. Veneziano, Palandri ha lasciato l’Italia nel 1980 e dopo il successo di Boccalone (romanzo di una generazione, quella del ’77 ma anche di quella successiva e un po’ precursore come sostiene qualcuno del concetto di moltitudine negriana). Nei suoi libri come nella sua biografia personale si incrociano ricerca e un lavoro intenso sul sé, sulle relazioni fra persone, sull’andare e venire, sullo stare abbastanza bene ovunque ma mai benissimo in alcun posto. I fratelli minori è un po’ la conclusione di questo percorso di ricerca. Una fine dove trionfano le persone, e soprattutto le persone implicate le une nelle altre. La storia è su due livelli temporali, gli anni ’70 e gli anni 2000. I due fratelli Martha e Julian (un po’ inglesi e un po’ italiani) figli di un famoso cantante d’opera veneziano, scelgono l’una di cambiare identità per evitare il peso del padre (anche Martha vuole cantare opera) e l’altro – il fratello minore – cercherà tutta la vita di ‘evitare’ gli altri. Il ’77 e l’Italia degli anni di piombo entrano nel personaggio di Giovanni (fidanzato di Martha). Ma è il ragionare sull’identità, sull’esilio, sugli altri il cuore del libro. Perché sono le questioni con cui si dibatte Palandri da anni. “Ho iniziato questo libro – dice lo scrittore – diversi anni fa. Mi sono accorto che avevo scritto più o meno con la stessa voce, rivolgendomi a un nucleo di temi abbastanza simili tra di loro fin da un altro mio libro, “Le pietre e il sale. Voglio che il romanzo sia autonomo, – aggiunge – però per me è un po’ la conclusione di un percorso cominciato per me quando sono andato in Inghilterra nel 1980”.

Andare in un luogo diverso ha permesso anche di continuare a ragionare su quanto accaduto nel tuo passato, negli anni ’70.

Sì. I miei sono libri che hanno a che fare con lo spatrio, il fallimento degli anni ’70, il superamento di questo fallimento. Ma non come il superamento proposto in Italia, cioè sostanzialmente con la figura del pentimento e del ravvedimento. Io non mi sono né pentito né ravveduto, io mi sono continuato. Credo che il pentimento sia una brutta figura perché tende a nascondere il percorso che hai fatto, tenta di rinascere non sulla storia ma su un altro piano. E di questo non mi fido. Non che l’altro piano non esista, la metafisica è sempre qualcosa che accompagna ed è parallela. Ma non credo che si possa uscire dalla storia per andare nella metafisica. Per questo il pentimento come pura morale che si oppone a ciò che hanno prodotto le circostanze, le classi sociali, i conflitti, non mi interessa. Purtroppo questa è stata la figura con cui si sono chiusi gli anni ’70. Io penso che noi siamo stati sostanzialmente la prima generazione che usciva da Yalta, non solo in Italia, in Inghilterra e siamo stati bloccati dal compromesso storico, cioè dai custodi di Yalta, il partito comunista e la Democrazia cristiana che erano i custodi dell’accordo siglato nel secondo dopoguerra. Sia da destra che da sinistra hanno visto nei movimenti qualcosa di inaccettabile perché andava da un’altra parte, anche se era la stessa cosa che accadeva in Inghilterra, in Francia, in America. Ma qui è stato tutto legato alla storia del terrorismo che invece era un fatto minore, legato molto alla storia del comunismo e non dei movimenti, in cui si poteva passare dai movimenti ma per disperazione, per sfiducia nella società, nella possibilità di cambiare, di essere nella società. Nel terrorismo c’era proprio quell’atto disperato che ho cercato, nel libro, di rendere nel personaggio di Giovanni. Non voglio dire nulla in generale sul terrorismo, ma ho cercato di avvicinarmi alle motivazioni del fallimento personale, di esposizione alla differenza sociale che è un tema che ricorre un po’ in tutto in libro. Mi è interessato molto analizzare come i personaggi che ho costruito sentono la propria condizione sociale e quella degli altri e come questi cambiamenti di status hanno un effetto profondo nella vita sentimentale, quando pensano di innamorarsi, nei revanscismi, in quello che si trascinano. C’è come una storia sociale privata che è una specie di biografia del singolo.

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