La sfida della Grecia – Costa Douzinas

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Cosa c’è veramente dietro la crisi economica in Grecia e gli insegnamenti politici sull’attuale Unione Europea.

Costa Douzinas

The Guardian, 4 febbraio 2010 (qui la versione originale inglese)

Paul Bremer, il primo proconsole americano, impose ad uno stremato Iraq politiche economiche che Economist definì come un regime “da capitalismo da sogno”. Difficilmente si può trovare una definizione migliore per descrivere le misure del piano di “stabilità” sottoposte dalla Grecia alla approvazione della Commissione europea, ed approvate ieri (7 febbraio 2010). Il piano contempla la riduzione del deficit di bilancio greco, che passerebbe dall’attuale 12,7%  del PIL al 2,8% nel 2012, promettendo, inoltre, immediatamente, un taglio del 10% del bilancio ministeriale, il congelamento della contrattazione di funzionari pubblici, l’abolizione di diverse imposte dirette ed un incremento delle imposte indirette. E se questo non bastasse, il primo ministro socialista, George Papandreu, annunciò, in un drammatico discorso televisivo trasmesso alla nazione, ulteriori misure di austerità senza precedenti, tra le quali, l’aumento immediato delle imposte su carburanti, l’aumento della età pensionabile e il taglio dei salari per i dipendenti pubblici che significherà una diminuzione del 10% del salario per la maggioranza dei funzionari dello Stato, e del 40% nel caso degli accademici. Come in Gran Bretagna, le università ricevono il primo colpo; la tanto sbandierata “economia della conoscenza” viene considerata nient’altro che un lusso secondario.

E questo verrà messo in atto nel paese più povero della vecchia Europa, che ha una disoccupazione giovanile del 25%, con una crescita cristallizzata e con i tradizionali settori della industria navale, il turismo e la costruzione sottoposti ad una indicibile pressione. Queste misure chiuderanno il circolo vizioso della crescente disoccupazione, scadenti entrate fiscali e politiche economiche sottoposte ai capricci della speculazione dei mercati finanziari. Spingeranno un paese, che si trova già in una profonda recessione, nell’abisso di una depressione duratura e senza uscita.

“Grecia si trova nell’occhio dell’uragano di una tempesta speculativa”, lamentò Papandreu nella sua apparizione televisiva. Si stava riferendo all’abbassamento della valutazione del credito greco da parte di tre imprese private di valutazione dei rischi – nessuna delle quali è sottoposta a controllo o supervisione alcuna – e la conseguente speculazione sui mercati attorno al debito pubblico greco destinato a finanziare il deficit, speculazione che innalzò i tassi del prestito sovrano greco un 4% sopra la linea base. Si tratta di una ripetizione intensificata dell’ attacco che lanciò Soros contro la moneta britannica nel 1992 (che portò il regno Unito alla sua umiliante uscita dal Meccanismo Europeo dei Cambi) e dell’attacco degli speculatori alla banca britannica nel 2008.   Ed è anche indice di una disgraziata situazione accettata elegantemente dalla Unione Europea e dai governi: un pugno di megacapitalistici fondi di copertura hedge, che con questa pratica hanno fatto fallire grandi banche, scommette adesso sulla bancarotta di un paese nella speranza che la scommessa stessa aiuti a fa compiere la profezia e gli permetta guadagnare posizioni di vantaggio nelle vendite a breve termine.

Non vi è dubbio che tanto Papandreu come Karamanlis, le dinastie dominanti nella Grecia del dopoguerra, si sono servite del impiego nel settore pubblico e del mecenatismo per proprio beneficio politico, contribuendo ad aumentare mostruosamente il volume del debito. Non c’è dubbio  che la sostanziosa evasione fiscale, la corruzione ed il clientelismo abbiano contribuito significativamente alle attuali pene. Però il rimedio è di gran lunga peggiore della malattia, e sarà pagato,come sempre, dalle solite vittime: lavoratori salariati, gruppi con basse entrate, contadini con coltivazioni di sussistenza e disoccupati.

In un orizzonte più ampio, la Grecia si sta convertendo in un esperimento per la nuova fase di correzione in corso d’opera che il neoliberismo si propone di realizzare sulla scia della crisi economica e finanziaria. Le misure fiscali ed impositive di “stabilità” perpetuano un insieme di dogmi economici miracolosi che, seppur falliti nel 2008, continuano a dominare il mondo mentale dei dirigenti politici europei.

La magia nera della privatizzazione, la deregulation e la finanzarizzazione sono state filosoficamente rifiutate da molti fedeli della prima ora, però impera tuttavia negli ambienti di una serie di scuole di affari di elite e nella Commissione Europea. Obama lanciò lo scorso anno uno stimolo fiscale di 787 miliardi di dollari, che includevano tagli fiscali, espansione della copertura di disoccupazione ed incremento della spesa in educazione, sanità, infrastrutture e settore energetico; la europea Grecia si vede condannata alla inazione fiscale. Il debito pubblico del Giappone rappresenta il 225% del suo PIL, e si finanzia mediante il prestito interno, lasciando solo il 6% in mano straniere.; la Grecia si vede condannata a prendere prestiti sui mercati stranieri, servendo degli interessi che possono solo essere definiti come usurai. Il commissario economico Joaquin Almunia fu cinicamente chiaro al proposito del piano di “stabilità”, nel dire che Grecia necessita “più riforma nelle pensioni, nella sanità e nel mercato del lavoro”. E’ uno svergognato tentativo di approfittare di un problema relativamente piccolo del debito, al fine di alterare radicalmente gli equilibri di classe e la relazione Stato/società in un paese conosciuto per la sua militanza sindacale e la forza della sinistra radicale.

La legittimità della Unione Europea si fonda su principi di giustizia sociale e di solidarietà. Joseph Stiglitz ha ricordato agli europei queste tradizioni in un recente articolo, sostenendo la emissione di buoni in euro per salvare la Grecia ed altre economie indebitate. Un palliativo immediato cosi svolgerebbe le veci di un tragico deus ex machina; il fatto è che il fantasma neoliberale ha espulso gli dei dalla macchina.

Tuttavia c’è un aspetto ancor più preoccupante in questi avvenimenti catastrofici. Papandreu venne eletto quattro mesi fa sulla base di un programma di ridistribuzione e giustizia sociale. Adesso, ha da poco accettato un programma che è esattamente il contrario. E questo costituisce un attacco radicale alla politica e la migliore espressione dell’odio neoliberale alla democrazia. Il commissario Almunia consigliò ai politici ed alla opinione pubblica della Grecia di accettare le misure proposte aggiungendo una appena dissimulata rivelazione della meravigliosa idolatria dei mercati e la finta natura della impotenza regolatrice. E’ certo che i mercati potrebbero speculare con esito contro i buoni del tesoro greci, elevando a quote insostenibili il costo dei prestiti, solo perché la UE ha fissato ad un irrealistico limite del 3% per il debito pubblico. Il risultato è che la UE spinge la Grecia da un estremo ed il mercato dall’altro. E’ una tempesta perfetta però mossa da mano umana. I politici e gli eurocrati hanno accettato il ruolo di giocatori di poca monta in una economia da casinò che si dichiara al di sopra dei processi politici.

La violenta pauperizzazione delle masse, la rampante privatizzazione dei servizi pubblici attraverso la riduzione radicale del settore statale, cosi come la crescente dipendenza dai mercati esteri nel servizio del debito, equivale ad una perdita della sovranità come tale, che ammette la comparazione con quella di uno Stato sottoposto ad una occupazione straniera, e porta con se un ampia ristrutturazione  delle risorse nazionali a favore del capitale ed una grave crisi della legittimazione europea.

I greci sono popolo orgoglioso. Sono stati sottoposti in modo massiccio al bombardamento dei mezzi di comunicazione, del governo degli accademici obbedienti, al fine di farli credere colpevoli degli errori di un sistema al quale nessuno ha votato. In Gran Bretagna siamo già abituati alla retorica del TINA (“Non C’è Alternativa”, traduzione della sigla in inglese); però sappiamo anche che c’è sempre una alternativa. La situazione che stanno attraversando i greci li colloca in prima linea di un attacco in tutta regola ai principi europei di democrazia, giustizia sociale e solidarietà, principi che, pur essendo stati sempre un poco retorici, oggi si trovano rotti dappertutto. Idealmente, ciò che il governo greco dovrebbe fare è dimenticarsi del falsa ortodossia che converte la Grecia in una nazione cosi poco sovrana come l’Iraq e richiamare ad un fronte nazionale di resistenza dinnanzi al questo barbaro attacco. Una iniziativa cosi mobiliterebbe l’orgoglio ed il sentimento di ingiustizia della nazione. Allontanerebbe il nazionalismo greco dalla sua patologica evoluzione recente verso l’estremismo di destra e xenofobo e lo avvicinerebbe di più alla tradizione hellenica, che è quella della difesa della democrazia. Islanda convocò un referendum per decidere sulla restituzione del suo debito; lo stesso dovrebbe fare la Grecia.

Però non è probabile, perché il partito governante è troppo compromesso con il vecchio clientelismo e neoliberalismo. La mancanza di una reazione capeggiata dal governo aumenta le sfide per la sinistra greca, una delle più forti d’Europa. La sinistra ha la responsabilità storica di mobilitare l’opinione pubblica greca contro questo tsunami di idiozia ed ingiustizia antidemocratica. I greci hanno dimostrato come resistere, da Antigone fino a l’Atene del dicembre 2008. I contadini hanno bloccato diverse strade in direzione nord e Bulgaria, obbligando Barroso a minacciare azioni legali. Sono stati convocati per il prossimo mese scioperi di funzionari pubblici ed uno sciopero generale.

La sinistra deve essere capace, inoltre, di mobilitare l’opinione pubblica europea. Se l’attacco alle comunità minerarie e alla NUM (Unione Nazionale dei Minatori traduzione sigla in inglese) risultò essere emblematico del primo neoliberalismo, l’attacco alla Grecia rappresenta l’inizio della sua seconda fase. Se cade la Grecia, non ci sono dubbi che i mercati passeranno all’attacco di Spagna, Portogallo, Italia e Gran Bretagna, e la Commissione Europea vestita con la toga di un coro tragico e lavandosi le mani come Ponzo Pilato. Ciò che è in gioco è il futuro della democrazia e della Europa sociale; i greci devono lottare per tutti noi.

Costa Douzinas, è professore di scienze sociali nella Univeristà di Birmingham nel Regno Unito.


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